V DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI GIOVANNI BATTISTA – ANNO B
Dt 6,1-9; Sal 118; Rm 13,8-14a; Lc 10,25-37
Cosa significa vivere la legge dell’amore dal punto di vista giuridico per sentirsi con la propria coscienza a posto e cosa significa seguire davvero il Maestro? Il discorso che intercorre tra Gesù e il dottore della legge riguarda proprio il sottile limite tra ciò che è scritto e ciò che fa superare lo scritto, tra il seguire il dovuto che pacifica la coscienza, e invece, tutto ciò che fa crescere pur essendo oggetto di discussione. Il tema è sottile; superare il confine e andare oltre, permette di aprire scenari e orizzonti diversi rispetto a quanto è il semplice dovere. La pagina antica tratta dal Libro del Deuteronomio chiede a tutti l’ascolto affinché la Parola del Signore sia sempre più nel cuore per riuscire ad essere se stessi come ci ha pensati Dio. L’invito: «Ascolta Israele» ci dice che allontanandoci dalla legge, non solo ci allontaniamo da Dio, ma ci allontaniamo dal nostro cuore e diventiamo disumani, privi cioè di quell’umanità che sa rispondere alla propria coscienza. Tanto è vero questo che la legge, scritta nel cuore dell’uomo, impegna anche coloro che fanno fatica a dichiararsi credenti. Non uccidere non riguarda solo il credente in Dio, ma riguarda tutti perché tutti sono chiamati al rispetto della vita. Solo così riusciamo a capire perché Gesù provoca il dottore della legge che aveva chiesto cosa dovesse fare per essere felice. Gesù risponde: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». È quel «Come leggi» che è importante. Per essere felice non basta osservare la sola legge (che cosa sta scritto nella Legge), ma come disponi il tuo cuore. La legge, il più delle volte ha come principio la negatività: non si deve fare questo perché non è giusto; la via negativa è quella più diretta ed immediata che apprendiamo con più facilità. Il come leggere è la via positiva, quella che concretamente muove qualcosa di originale e di diverso nel proprio cuore, è ciò che fa essere felici e pacificati nella propria coscienza perché si è fatto del bene, è quel quid in più di sforzo che non fa addormentare il cuore. Il dottore della legge aveva risposto bene alla domanda di Gesù dicendo: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso», e tuttavia la sua risposta è da catechismo appreso e studiato; tanto è vero che subito il dottore pone un alibi che spesso mettiamo anche noi: «E chi è mio prossimo?». È domanda su cui si gioca anche la realtà del nostro essere credenti, perché fino a che ripeto ciò che c’è scritto ci siamo, più o meno il rispetto della legge lo si mette in pratica, ma quell’agire, ancorché giusto e legale, fa rimanere uomini fermi all’Antico Testamento, uomini che ancora non hanno compiuto il vero passaggio alla novità del Nuovo Testamento. Il valico da superare è proprio qui: chi è mio prossimo? Qui, Gesù consegna la splendida pagina che è da leggere bene. Le rappresentazioni consuete secondo le quali il prossimo dell'ebreo è l'ebreo e quello del pagano, il pagano, vengono da Gesù spostate radicalmente fino ad assumere come criterio di vicinanza, di prossimità, l'appartenenza alla comune umanità. La condivisione della stessa umanità ha la precedenza su tutto il resto. L'appartenenza a una comunità o a una religione non deve impedire il ricongiungimento e la condivisione, ma esattamente il suo contrario. Non si tratta più di amare solo chi ci assomiglia, ma amare chi è diverso da noi, amare anche i nostri avversari e addirittura, i nostri nemici che ci fanno del male. Il racconto del Buon Samaritano è la chiave di lettura per comprendere tutte le azioni di liberazione, di guarigione e di perdono messe in atto da Gesù. La parabola porta al cuore del dibattito la legge e il prossimo, i principi e le persone.
Il sacerdote e il levita scelgono di rispettare la legge che proibiva loro di contaminarsi con il sangue del malcapitato perché l’avrebbero resi impuri e quindi inadatti al servizio liturgico nel tempio. Il Samaritano della parabola che non è prigioniero della legge, davanti a tale miseria, si avverte libero di soccorrere il malcapitato. Tutti i Vangeli mostrano Gesù che mette sempre in discussione i rigori legalistici dei leader religiosi. Osa persino trasgredire certe prescrizioni in nome della necessità di essere vicino a chiunque ne abbia bisogno. La sua vita è un continuo invito a capovolgere il modo di guardare l’altro. Il farsi prossimo è scelta dal Figlio di Dio che non ha esitato a privarsi e a spogliarsi della sua divinità per farsi incontro all’uomo (cfr Fil 2,1-11)! C’è un altro risvolto che emerge dalla parabola e che merita di essere evidenziato. L’episodio raccontato chiede a tutti di sapersi riconoscere in chi si ferma e porta soccorso, ma, prima ancora, chiede di identificarsi nel bisognoso e lasciarsi amare e servire. Lasciare che Gesù ci veda, fasci le nostre ferite e ci conduca nella locanda che tutti accoglie. Sant’Agostino vedeva in questa locanda la Chiesa e nei due denari che il Buon Samaritano consegna all’albergatore, i Sacramenti del Battesimo e dell’Eucaristia. L’invito a riconoscersi ferito e bisognoso di salvezza perché attraversato dal male, dalla sofferenza, dall’allontanamento che il peccato provoca, è presente davvero in filigrana in tutto il discorso che Gesù ha con il dottore della legge. Non può essere l’autosufficienza a salvarci, quella porta solo all’arroganza; è il diventare progetto amante affinché gli altri incontrandoti, abbiano la possibilità di salvezza. È un percorso straordinariamente nuovo e originale in cui non solo permette di far del bene agli altri, ma fa scoprire agli altri l’amore (la carità la chiama Paolo) che sulla strada della storia, di ogni storia, Gesù si fa vicino all’uomo percosso e abbandonato incontrando i suoi infiniti dolori prendendo su di sé quelle ferite per dare guarigione e vita. Ogni domenica noi viviamo questo; ogni domenica ci incontriamo in chiesa, è la nostra Gerusalemme, il Tempio; e ogni domenica uscendo siamo chiamati a tornare alla nostra Gerico che è la vita quotidiana in cui le incognite, i mali che la vita sempre consegna, ci fanno essere come quell’uomo abbandonato sul ciglio della strada malconcio e piegato su se stesso per le ferite. Lì siamo chiamati a vivere la sequela del Buon Samaritano che ci consegna il suo Spirito nell’Amore della sua Croce. È nella sua Pasqua, infatti, che Gesù rende vera, in modo radicale, la sua misericordia. Allora, la straordinarietà di vita che l’uomo è chiamato a vivere, è la situazione di prossimità con Gesù stesso. Questo vuole dire che, in negativo, l’uomo riceve, si ciba e si disseta, e in positivo, è chiamato a corrispondere con la propria libertà. Lasciamo dunque che Gesù si chini ancora su di noi, lasciamoci accogliere e curare dal vero Samaritano che è Gesù! Questo è lo straordinario che approda nei cuori e che permette di vivere bene l’ordinario.