I DOMENICA DOPO LA DEDICAZIONE – ANNO B
At 8,26-39; Sal 65; 1Tm 2,1-5; Mc 16,14b-20
Come ci guardi Dio? Questa è un po’ la domanda che nasce dalla parola di questa domenica che ci parla di un annuncio che non deve avere confini e gli inizi di questa avventura sono davvero assolutamente poveri. Lo sbalzo è fortissimo. Gli Undici formano un piccolo gruppo impaurito che aveva fatto fatica a riconoscere e a credere alle prime testimonianze della risurrezione di Gesù, ma è a loro che Gesù dà l’incarico gigantesco per grandezza e qualità: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura». A persone barricate nel Cenacolo che stanno provando la povertà di una Assenza mai sperimentata prima - sono infatti a tavola ma non con Lui e intorno a Lui -, quale confine dell’annuncio, è dato il mondo intero. La ripartenza chiesta deve subito misurarsi su un orizzonte che non ha limiti, ma è dono da raccogliere, e la Parola entrerà a pieno titolo nel cuore di innumerevoli comunità. È dunque Vangelo che presenta un finale che lascia aperto un altro finale. Per sé Marco termina il suo Vangelo fermandosi davanti alla pietra rotolata della tomba vuota; forse lo fa per risvegliare la fede del lettore, ma la tradizione della prima comunità che si è affrettata ad aggiungere un finale multiforme per contemplare l'immensità del mistero pasquale: non solo la vertigine che può accompagnare stupore e mutismo di fronte alla tomba vuota, ma anche incontro e annuncio. È dunque conclusione che vuole mostrare come l’evento della Risurrezione metta in crisi gli stessi Apostoli, ma soprattutto, continui a farlo nel corso della storia nella vita della Chiesa che non è disincarnata. Ogni pensiero, ogni progetto, ogni concezione dell’uomo e della storia verrà messa in crisi dalla Risurrezione, ma la vita di Gesù, ciò aveva detto e compiuto nella sua presenza in mezzo al popolo di Dio, deve diventare annuncio a tutte le genti. Ma il Vangelo sembra presentarci una contraddizione in tutto ciò; mostra la separazione di Gesù dai suoi Apostoli, nonostante tutto ciò, dice che c’è fecondità di azione. Per noi la fecondità è fare, organizzare, costruire, mettere insieme persone per le iniziative; tutto vero, ma il Vangelo ci dice altro: la fecondità è stare, è l’essere con il Padre. Se la Chiesa, anche la più piccola, non è il luogo in cui i fratelli e le sorelle vivono alla presenza del Padre, tutto ciò che si riesce a fare anche con grande fatica, non serve a granché. Quelli saranno solo attimi di luce, ma non sono la luce; sono attimi di vita, ma non è la vita. Ciò che vale è ciò che ci fa stare davanti al Padre; nella preghiera, nell’ascolto della Parola, nella carità vissuta a piene mani, Gesù è presente come Colui che è davanti al Padre, che è con il Padre e apre tutte le nostre azioni convertendole in relazioni vere.
E questo permette di scacciare i demòni fatti di tante piccole voci interiori che ci inquinano, che fanno rumore e impediscono di sentire la voce dell'Altro e dell'altro. È stile che permette di parlare in nuove lingue perché, se il cuore si lascia abitare da Dio (Gv 14,23), la lingua non potrà parlare diversamente. È stile che permette di uscire dalla complicità con il male ed essere discepoli di verità (Gv 3,20-21) che rende immune da qualsiasi veleno. Consegnata così all'umanità fragile e in declino, la Parola percorrerà la strada della storia. E non saranno soltanto gli Apostoli a proclamare il Vangelo a ogni creatura; il Vangelo ci dice che «quelli che credono» alla verità della testimonianza degli Apostoli, continueranno la loro missione che chiede di amare la storia di questa umanità in cammino come l’ha amata Gesù, e questo è davvero accaduto, magari tra mille incertezze, magari anche con tanti sbagli, ma è accaduto. Ciò che il Salmo ci farà pregare: «La tua salvezza, Signore, è per tutti i popoli», è accaduto nella storia e nel cammino dell’umanità. Allora è bello vedere come l’azione concreta dell’andare ci venga data subito e assai bene dal brano degli Atti degli Apostoli. L’episodio di Filippo è davvero sorprendente. Poco prima del testo proposto alla nostra attenzione, troviamo Filippo che sta predicando in Samaria e con un enorme successo di affluenza di persone: «Le folle prestavano attentamente ascolto alle parole di Filippo [… ] e vi fu grande gioia in quella città» (At 4,6-8). La Samaria si dimostra terreno fertile, ma Filippo è chiamato altrove: «Alzati e va verso mezzogiorno, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta». La chiamata è ad andare in un luogo deserto in cui non si vive la soddisfazione del proprio operato. Sono gli inviti di Dio, sono inviti che altri testimoni raccoglieranno, inviti che se ci pensiamo bene, abbiamo raccolto anche noi aderendo alla nostra vocazione. Filippo va e percorre quella strada deserta, incerta e sterile, e su quella strada incontra solo una persona per di più giudicata marginale, un eunuco della regina di Etiopia Candace. Egli sta percorrendo il viaggio di ritorno da Gerusalemme; è straniero in terra straniera, è nel disagio del viaggio sempre esposto agli imprevisti, non ha pienezza di diritti ed è davvero in terza fila e solo. Tuttavia, Filippo ha la libertà di correre e di sedersi accanto a quell’uomo che cerca la luce della verità nelle Scritture aiutandolo nella sua ricerca personale di adesione che sarà confermata dal battesimo. Lo Spirito del Signore risorto abita anche quelle strade ritenute sterili ed improbabili da ogni ragione umana: Nazaret, quella parola detta ad una giovane donna è appunto una strada totalmente improbabile. Undici sono gli Apostoli (diventeranno poi ancora Dodici) che si avvertono inadeguati al compito così grande che il Signore affida loro. A loro Gesù dice esplicitamente: «Andate»; come dire, non restate fermi a guardarvi, ma muovetevi docili al soffio dello Spirito che apre l'animo ad accogliere la parola di Dio e consegna la medesima «passione» di Dio per l'essere umano e la sua salvezza. Percepiamo allora che questa è Parola che va ben oltre e vuole consegnarci qualcosa di molto più profondo. Non solo l’annuncio, ma si percepisce che questo andare per annunciare il Vangelo, è un andare che chiede la cura del farsi carico, di sostare e prendere a cuore ogni situazione che via via si incontra. Solo così la Parola si fa carità, si fa passo, si fa attenzione e sguardo solidale. Anche se crediamo di non essere capaci di annunciare il Vangelo perché ci pare di non averne le capacità, ognuno di noi è chiamato a viverlo, ognuno di noi è chiamato con la propria vita a testimoniare la buona notizia anche se riteniamo di percorrere strade deserte e quindi sterili. Il Vangelo ci dice che è proprio fuori dagli snodi di strade ritenute facili che si incontrano persone che chiedono di vivere la vita. Allora mi sembra bello tornare alla domanda da cui siamo partiti: come ci guardi Dio? Ci guardi offrendoci l’apertura ad incredibili orizzonti.