IV DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE – ANNO B
1 Re 19,4 -8; Sal 33; 1 Cor 11,23 – 26: Gv 6,41-51
Elia è profeta conosciuto e stimato per zelo e integrità, ma il passo che ci offre la Lettura di oggi, lo vede in un profondo sconforto. Elia è reduce dalla vittoria sul Carmelo nella lotta con i profeti di Baal (il dio cananeo), ma la gioia della vittoria ha vita breve perché immediatamente la regina Gezabele ha pronunciato contro di lui una sentenza di morte. Chi ha combattuto contro quattrocento maschi ed ha vinto, ora fugge inseguito da una donna. La Lettura ce lo indica stanco e i segni di depressione, gli fanno scoprire i suoi limiti. Si considerava al di sopra degli altri perché chiamato da Dio, ma comprende che il profeta, l'uomo di Dio, è uomo come gli altri. Elia si inoltra nel deserto; gli esseri e le cose sono contro di lui, solo un cespuglio lo protegge con la sua ombra dal calore del sole. All'ostilità della regina, dunque, si aggiunge l’ostilità della natura. È allo stremo e si sente abbandonato e solo: «Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri». Parole che trasmettono disagio e forse anche senso di colpa. Con molta probabilità si pensava più forte, più capace di sostenere i passaggi più bui della vita di profeta, quelli che insidiano e portano a gettare la spugna e a lasciarsi andare: «Si coricò e si addormentò sotto la ginestra» con il proposito di lasciarsi morire. Ma il testo apre subito alla speranza perché su quell’uomo piegato su se stesso, c’è chi veglia: «Un angelo lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia!». Dio non si stanca mai di chiamare alla vita coloro che conoscono amarezza e scoraggiamento perché si sentono smarriti e senza prospettiva. Il testo ci fa comprendere che si è amati da Dio soprattutto quando ci sorprendiamo piegati su noi stessi e non riusciamo più ad amare noi stessi. Dio prepara per Elia una focaccia cotta su pietre roventi e un orcio d'acqua ristoratrice. Forte di questo cibo, Elia affronterà il lungo cammino verso l’Oreb, il monte di Dio, il monte dell'incontro e dell'Alleanza. Quella di Elia è una situazione di cammino che rispecchia tante nostre situazioni di gente in cammino che percorrendo le strade della vita, nei contesti in cui si opera e si vive con gli altri, si affrontano momenti bui, momenti in cui si sperimenta la tentazione di sganciarci e liberarci da un impegno, da una responsabilità, da una chiamata, da una vocazione, da una scelta di servizio agli altri. Le ragioni di amarezza o di delusione sono davvero molteplici e la fatica, la prova, fa sperimentare come la vita sia sempre più vista e sperimentata come una salita che via via, si fa sempre più irta e che sembra non finire mai. È l’Apostolo Paolo, che indica e a tutti il rimedio contro le tentazioni dello sconforto; scrivendo alla sua amata comunità di Corinto dice che esiste un momento, un appuntamento a cui convergere per essere rigenerati: il Pane e il Vino che nutre e libera dagli affanni. Quel pane e quel vino sono il Corpo di Gesù offerti per tutti; essi affermano che con Dio c’è sempre un poi, c’è sempre un oltre rispetto a tutti gli sconforti e a tutte le sconfitte subite nella personale sequela. Quando Paolo scrive: « Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso», parla della sua esperienza, raccoglie il suo vissuto di persecutore, riflette su quanto ha ricevuto e serenamente può dire alla sua comunità, e oggi anche a noi, che non c'è situazione umana che non riceva una risposta da Dio.
E il salmista ci dice che il «povero grida e il Signore lo ascolta». All'origine di tutto c'è l’Amore infinito del Padre che sempre ci precede: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno», dice Gesù. È mistero che ancora oggi ci sorprende! Gesù lo dice ai presenti che lo avevano classificato con categorie terrene: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?». Anche noi a subiamo il fascino della tentazione di definire Gesù con quelle stesse parole: figlio di persone conosciute, falegname, prossimo, amico, rinchiudendolo in mere categorie umane dimenticando però, tutto ciò che in Lui, in Gesù Cristo ci è invisibile che non conosciamo e che va infinitamente molto più in profondità. Se il mistero della persona umana che fa dire al filosofo Emmanuel Levinass: “L’altro non può essere pensato, l’altro si presenta si mostra accade come l’origine della rivendicazione; l’altro non procede da me, ma l’altro precede me”, è presente per ognuno di noi, a maggior ragione c'è un mistero ancora più grande nascosto in Gesù di Nazareth. Solo il Padre che lo ha mandato può rivelarcelo attirandoci a sé in Gesù Cristo che apre alla vita eterna mediante la su risurrezione. Non, dunque, quello che si vede, ma qualcosa di più profondo fa deporre altre conoscenze, altre idee, altri mondi di pensiero per far spazio in noi al mondo di Dio, alla sua rivelazione che porta in sé il desiderio di vita e il desiderio di ricerca di ciò che solo può soddisfare il nostro cuore. Per questo Gesù può continuare la rivelazione: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Questo è il pane dell'amore: è il pane dato da Colui che è all'origine di tutta la vita, Colui che è il Vivente, il grande donatore, il Generoso, l'amore infinito, l'amore che si dona, che dona e non cessa mai di dare. In Gesù riconosciamo il dono del Padre, riconosciamo Colui che conduce alla vita facendo della sua carne data, il pane per la vita del mondo. Credere in Colui che il Padre ha mandato, è credere che il pane di vita eterna, pane d'amore, realizza quei desideri di vita che sono sepolti nel profondo del nostro cuore e che spesso si manifestano nelle nostre insoddisfazioni, nelle nostre delusioni, ma anche nelle nostre gioie. Gesù infrange i limiti dell'indifferenza, della malizia, dello scoraggiamento, dell'odio, della vendetta, della disperazione, aprendo a tutti la possibilità della vita che non finisce mai! Ogni pagina della Bibbia ci dice che Dio si prende cura di noi; ogni pagina della Bibbia manifesta il messaggio di accoglienza che Dio ha verso la propria creatura e ogni pagina della Bibbia ci dice che Dio ci ama a prescindere da tutto il nostro vissuto. Dio ci ama anche là dove noi non riusciamo ad amare noi stessi. Questo "ti amo" è precisamente ciò che celebriamo in ogni Eucaristia dalla quale ricaviamo la forza di rispondere con tutta la nostra vita, così che tutta la nostra vita diventi l’immenso grazie a Dio che apre la nostra vita alla costruzione di una comunità in cui le differenze si incontrano fraternamente non perché siamo i migliori, ma semplicemente perché siamo infinitamente amati e cerchiamo di corrispondere con il meglio di noi stessi, sempre di più. Solo Dio infatti è vita, solo Lui è pane che ci fa affrontare con serenità il nostro cammino. Daccelo sempre questo pane che sostiene il cammino di noi persone stanche, affaticate e deluse; donacelo ogni giorno.