VI Domenica dopo il martirio di Giovanni - anno B
Is 45,20-24a; Sal 64; Ef 2,5c-13; Mt 20,1-16
È Vangelo che colpisce, è Vangelo che sorprende sempre per i linguaggi e le immagini utilizzate che sono estremamente feriali a partire dalle prime parole: «Il Regno dei Cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna». Su questo padrone di casa poniamo la nostra attenzione per riuscire a coglierne la logica, il pensiero e la sua volontà. È richiamato l’uscire del padrone di casa di primo mattino; il suo uscire all’alba dice la preoccupazione per la sua vigna. Esce Lui e non il suo fattore, cerca lavoratori senza impiego e ripete la sua azione alle nove, a mezzogiorno, alle tre e alle cinque del pomeriggio. Vuole che tutti siano degni di chiamata a qualunque ora del giorno e quando ormai la delusione ha preso il sopravvento: «Nessuno ci ha presi a giornata». È padrone che non delega a nessuno la chiamata, è Lui a uscire per chiamare e la curiosità della parabola si fa grande perché pattuisce il compenso solo con coloro che chiama per primi, mentre a coloro che chiama durante la giornata promette: «quello che è giusto ve lo darò». C’è discontinuità rispetto alla prassi, nota ancora oggi, che vedeva una unica chiamata di mattina presto; ma ciò che è ancora più dirompente è che finito il lavoro, quel padrone di casa non paga direttamente i lavoratori, ma chiama il proprio fattore e a lui dà l’incarico di consegnare la paga ai lavoratori occupati in quella giornata a cominciare dagli ultimi. La sorpresa è grande: il compenso per gli ultimi risulta essere uguale a quello pattuito con i primi chiamati. Qui l’attesa dei primi chiamati a lavorare nella vigna si fa grande come grande sarà la delusione quando si vedono consegnato solo il compenso pattuito. Nasce così l’invidia, la gelosia, l’amarezza di una aspettativa rivelatasi errata nei suoi esiti. Penso che agli uditori della parabola, ma anche a noi, sia sorta la domanda di giustizia secondo la quale coloro che avevano lavorato tutto il giorno sopportando il peso della giornata, siano da considerarsi più meritevoli di compenso. Del resto, perché chi ha lavorato pochissimo tempo, che è arrivato tardi guadagna e prende come coloro che hanno sopportato il peso della giornata lavorativa? È domanda umana comprensibile, ma che toglie la possibilità di felicitarsi per la generosità di quel padrone. Il tema della parabola non sono anzitutto né la vocazione, né il giudizio, né l’uguaglianza fra gli uomini: il tema è la bontà “scandalosa” di Dio, che irrita chi si sente giusto, ma allarga il cuore di chi si riconosce ultimo perché peccatore. Il regno dei cieli non è nascosto dietro il padrone, né dietro la vigna, e neppure dietro il lavoro o il compenso: il regno dei cieli è lo stile della relazione tra Dio e l’umanità e degli uomini fra di loro, a partire da noi, uomini e donne credenti. La parabola di Matteo rovescia precisamente e in modo netto la logica della retribuzione, propria di molte religioni e, purtroppo, anche di un certo cristianesimo, che ancora è presente nel modo di vivere la fede di tanti: Dio ci ama gratis, e questo suo amore sovrabbondante è per tutti. Gesù ci dice che Il dono di Dio non può essere registrato come un corrispettivo su un foglio contabile del dare e avere; chiede di confidare nel Dio i cui pensieri superano i nostri pensieri. Lui è proprio diverso, Lui vorrebbe che tutti siano felici in egual misura, gente chiamata, gente apprezzata a cui poi corrispondere la ricompensa dell’essere figli amati. È parabola che mostra il volto di Dio, il cuore di Dio e lo stupore che ne deriva è dovuto al fatto che la giustizia di Dio è a misura di Dio e non delle sue creature.