E, alzate le mani, li benedisse
Ascensione del Signore
At 1,6-13a; Sal 46; Ef 4,7-13; Lc 24,36b-53
Si avverte una tensione viva nella redazione dei testi e questo è dovuto al fatto che tutti i capitoli della Pasqua portano con sé titubanze e gioie che, via via, si vanno continuamente intrecciando. Nella prima lettura, Luca sottolinea come gli Apostoli, proprio perché colpiti dallo stupore per l'evento dell’Ascensione al cielo di Gesù che si svolgeva davanti ai loro occhi, rimasero a guardare il cielo a lungo e si siano rifugiati nella «stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi». Nel Vangelo però, lo stesso Luca, nel raccontare l'avvenimento, questa volta sottolinea la gioia che trabocca dai loro cuori anche se Gesù, il Maestro sale al cielo per scomparire definitivamente dalla loro vista. Che dire, Luca si contraddice? No! In realtà, le parole che si possono usare, quando si parla di Dio, sono sempre limitate. La preoccupazione di Luca è quella di sottolineare due atteggiamenti che caratterizzano i discepoli di fronte a questo mistero: lo stupore e la gioia. Per Luca, il giorno di Pasqua è un giorno che non finisce mai; esso vede apparizioni mattutine, vede l’apparizione serale ai discepoli di Emmaus che fanno ritorno senza indugio a Gerusalemme dagli Undici e oggi, ci viene raccontata l’ultima apparizione di Gesù. È la manifestazione definitiva, in essa notiamo come Gesù si preoccupi di spiegare loro tutti i passi delle Scritture che parlano di Lui. Insieme a questa apparizione, si descrive l’ultimo atto della vita terrena di Gesù in mezzo a loro: «Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo». Solo dopo i discepoli: «tornarono a Gerusalemme con grande gioia». Molto probabilmente la loro gioia era dovuta al riconoscimento della gloria di Gesù più che per il distacco che era avvenuto; la gloria di Gesù manifestata come l’esaltazione ad opera del Padre come fatto inseparabile dalla sua risurrezione. Solo dopo questa manifestazione Luca negli Atti, fissa il luogo in cui i discepoli tornano: nella sala al piano superiore di quella casa in Gerusalemme. È luogo inconfondibile, è luogo che suscita loro ricordi ed apprensioni perché è stato il luogo degli inizi, il luogo del ritrovarsi insieme, il luogo della condivisione e della preghiera, il luogo indimenticabile della cena con il Signore. E quel luogo diventa ancora una volta luogo di ricominciamento che lo Spirito Santo renderà pieno nel giorno di Pentecoste. È difficile però portare il peso dell’assenza del Signore; è pesante riconoscere che questo evento lo si deve interpretare e vivere sostenendo la fatica di un’attesa. Non basterà continuare a guardare il cielo: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?»; come a dire che adesso è presente una missione che deve incominciare ed essere portato a termine. Mi piace immaginare però, che il guardare il cielo da parte dei discepoli, sia davvero il desiderio di entrare e superare questo confine che apre ad orizzonti senza limiti; pensare ad un cielo che abbraccia, che non ha né tempo né impedimenti e che custodisca. Come se in quell’istante sia sviluppata una segreta richiesta (peraltro sempre attuale), di avvertire su di sé lo sguardo benevolo di Dio, lo sguardo carico di misericordia di Gesù che accompagni sempre la vita e i passi di ciascuno. Davvero non si riesce mai smettere di guardare il cielo, perché il cielo è sempre un riferimento a Lui, al suo sguardo, al suo cuore, al suo amore. Si ha la percezione netta che questo sia il modo diverso ma sempre attuale del Suo essere con noi, perché la memoria non ci lascia sfuggire nulla di quello che Gesù ha detto, di quello che ha fatto, delle strade percorse, dei pianti e singhiozzi tramutati in sorrisi di gioia. È la memoria viva che lo Spirito, dono promesso, riesce davvero a tenere estremamente viva nel cuore di ciascuno. Dice infatti il Signore: «vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future» (Gv 16,13).